In Ogliastra tantissimi prodotti si contraddistinguono ancora oggi
per la loro genuinità. La produzione limitata, il clima, la
stagionatura, il rispetto delle antiche tradizioni nella
lavorazione, fanno sì che abbiano il gusto e la genuinità dei
prodotti confezionati dai nostri avi. 'Sa coccoi 'e cibudda', una
sorta di focaccia con cipolle, zucca, farina e pomodori freschi o
secchi e cucinata nel forno a legna, adagiata su foglie di cavolo e
poi sa coccoi 'e patata, fatta con gli stessi ingredienti dei
culurgiones ma cucinata al forno.
Minestra di 'friscidu' e fregola: a base di fregola, formaggio
caprino in salamoia e menta fresca. 'Civargeddus prenus': composti
di patate lesse, zucchine soffritte con olio e cipolle, formaggio in
salamoia ('casu 'e fitta'), pepe nero, aglio: il ripieno così
ottenuto viene steso su una sfoglia di pasta e cotto in forno. 'Maccarronis
sciarrancaus': fatti di farina, acqua, a scelta uovo. 'Civargeddu 'e
cipudda': pane di cipolle, tradizionalmente fatto con pasta di pane
cui si aggiungono cipolle crude e ciccioli ('erda'); adagiato su
foglie di cavolo, tradizionalmente viene cotto in forno a legna dopo
aver sfornato il pane. Gnocchi di patate: fatti di farina, patate
lesse, acqua e sale,cotti in acqua bollente e conditi con sugo e
formaggio. 'Cigiri a pisili': piatto fatto con ceci (ammollati in
acqua tiepida), lardo, cotenna di maiale, piedini di maiale o testa
di maiale, cui si aggiungono a fine cottura delle patate. Pecora in
cappotto: bollito di pecora cucinato con l'aggiunta di sedano,
cipolla, carote, spezie varie, sale. 'Cagliu': caglio, fatto con la
pancia di capretto piena di latte materno, lasciata essiccare. 'Trattalia':
coratella, fatta con le frattaglie (fegato, polmone, cuore e milza)
tagliate a pezzi, inserite in uno spiedo, alternanate con pezzi di
lardo, ricoperte con la nappa e legate con l'intestino, cotte allo
spiedo. 'Corda': stomaco della pecora o capra con l'intestino; può
essere cucinata arrosto, sbollentata o bollita con piselli o patate
da aggiungere a mezza cottura. 'Casu agedu' (formaggio acido): fatto
con latte di capra e caglio. 'Pardulas' (formaggelle), fatte con
formaggio di giornata, tuorli d'uovo e zafferano, inserite in una
sfoglia fatta con farina e acqua e cotte in forno. 'Pani e saba':
fatto con farina, noci, nocciole, mandorle, uva sultanina, zucchero,
spezie e 'sapa' ('binu cottu'), ricoperto di monperiglia ('traggera').
'Su cunfettu': è ancora oggi il dolce tipico baunese, offero per
tradizione in occasione dei matrimoni; i suoi ingredienti principali
sono il miele, le mandorle e la scorza d'arancia grattugiata; in un
tegame di rame si versano il miele e la scorza d'arancia e si porta
il composto a ebollizione sino a raggiungere consistenza compatta;
sul finire della cottura si aggiungono le mandorle; il composto
ottenuto viene steso su una tavola di legno, precedentemente
umidificata, per esser poi tagliato a fette che vengono sistemate in
vassoi, ciascuna su una foglia d'arancio e ricoperta con un'altra,
in modo che le foglie esaltino il sapore e la bontà. 'Su pistoccu':
noto anche come carta da musica, è ancora oggi il pane tipico della
zona, gli ingredienti principali sono la farina di grano duro, il
lievito, il sale, la semola e l'acqua, che insieme vengono
amalgamati sino a ottenere un composto omogeneo col quale si procede
poi a formare fogli di pasta rotondi (o quadrati) che vengono stesi
in teli appositi sino ad avvenuta lievitazione; la pasta viene
infornata per due volte nei tradizionali forni a legna: con la prima
cottura assume una forma rigonfia; poi è suddivisa in due sfoglie
che verranno reinfornate per pochi minuti a una temperatura più
bassa per essere tostate, sino a donare loro un aspetto dorato; il
pane può essere consumato sia secco che inumidito.
I primi piatti
Culurgiones
Per quanto riguarda la lavorazione della pasta, i
primi piatti tipici sono i 'culurgiones', che sono senza dubbio il
piatto più famoso della cucina tipica ogliastrina, originariamente
preparati solo in famiglia, oggi rappresentano una delle maggiori
realtà economiche nel campo della pasta fresca e nel panorama della
gastronomia ogliastrina e sarda. La semplicità degli ingredienti dei
culurgiones, ne fa nel passato un piatto povero, appartenente alla
cultura agropastorale della zona.
Ancora oggi vengono preparati nelle famiglie e in molti paesi
rappresentano il piatto della domenica e delle feste.
I culurgiones vengono cotti tramite bollitura e serviti
classicamente con del semplice sugo di pomodoro e basilico.
Is Gathulis A
Villagrande li chiamano gathulis. Sono anelli di patate e formaggio
fresco, fritti nell'olio bollente. In altri paesi sono noti come
orrubiolus e variano nella forma e negli ingredienti. Possono essere
serviti come antipasto o come primo piatto. Da anni nel mese di
Agosto a Villagrande si tiene la sagra dei gathulis, dove si possono
gustare questi croccanti e sfiziosi anelli. Per la loro preparazione
occorrono patate, formaggio salato (fisciù), formaggio vaccino,
semola di grano duro e olio. Noi li prepariamo cosi: schiacciamo
bene le patate, precedentemente lessate e pelate, e le impastiamo
con le mani, aggiungendo l’olio, i formaggi grattugiati, il sale e
semola quanto basta per ottenere un impasto omogeneo. Formiamo dei
"vermi" spessi un dito e lunghi circa 12 cm, e li chiudiamo a
formare degli anelli. I gathulis si friggono in olio di semi e non
necessitano di condimento, si consumano accompagnati da olive e buon
vino.
Sa Coccoi prena
Sa Coccoi Prena è un altro dei primi piatti della cucina
tradizionale ogliastrina, il suo ripieno è molto simile a quello
dei culurgiones, la differenza sostanziale sta nella pasta, infatti
per sa coccoi prena si utilizzata una pasta lievitata. Sa coccoi
prena può assumere diverse forme e dimensioni a seconda delle
località . Una delle forme più caratteristiche è senza dubbio quella
che ricorda il sole e che richiama la tipica forma de is pardulasa
(in italiano conosciute come formaggelle) dolce tipico di formaggio
fresco. Per la preparazione della pasta si usa una miscela di semola
e farina si impasta con dell`acqua e a volte si aggiunge qualche
patata, infine si mette un po di lievito (in passato su framentu
vedi descrizione), e la si lascia riposare (ascedai). Dopo la
lievitazione viene stesa la pasta, cercando di ottenere una sfoglia
uniforme non troppo sottile, in cui viene richiuso il ripieno nella
tipica forma a sole, ma possiamo trovare anche delle forme a torta.
La cottura in passato veniva fatta rigorosamente nel forno a legna.
Oggi chi non dispone di forno tradizionale o chi non intende
attivare un forno a legna (solitamente i forni a legna vengono acesi
quando viene organizzata la preparazione di pane o pistoccu), per la
sola cottura de sa coccoi prena le cucina con buoni risultati nei
forni domestici. Una caratteristica della cottura tradizionale è
quella di infornare sa coccoi prena poggiata sopra una foglia di
cavolo o di vite, dopo la cottura si lasciano raffreddare in cesti
detti palinisi, e vengono consumare tiepide o fredde anche dopo
alcuni giorni.
Macarronis de ungras
Is maccaronisi de ungras, detti anche malloreddusu è un'altro
grande piatto della tradizione sarda, che prende il suo nome dalla
tecnica con cui vengono preparati. La preparazione è abbastanza
semplice: si impasta della semola aggiungendo lentamente dell’acqua,
il tutto va lavorato con le mani fino a raggiungere un impasto
omogeneo. L’impasto ora viene tagliato a palline, non troppo grandi,
e lavorato fino a ottenere dei lunghi rotolini di pasta grossi come
un dito che vengono tagliati a pezzi di circa due centimetri. Ora
bisogna conferire ai pezzetti di pasta la forma tipica, questi vanno
presi con pollice e indice e passati su una tavoletta rigata, o su
una grattugia oppure in una forchetta. Attraverso un movimento
rotatorio del pollice sulla tavoletta rigata si otterrà
l’avvolgimento della pasta sull’unghia dello stesso. Il nome
maccaronisi de ungras deriva proprio da quest’ultima fase, infatti
ungra in sardo significa unghia. le caratteristiche rigature che
possono essere ottenute in diversi modi li rendono più idonei alla
cottura e atti a trattenere il condimento. Questa pasta, va servita
con del semplice sugo di pomodoro e basilico o con del sugo di carne
e condita con del pecorino grattugiato.
S’anguli ‘e cipudda
S’anguli ‘e cipudda come la gran parte delle pietanze ogliastrine è
un piatto povero della cultura agro pastorale delle nostre terre.
Può essere considerata come un primo, viste le caratteristiche
nutrizionali di questo alimento. S’anguli ‘e cipudda viene più di
frequente consumata come smurgiu (pasto veloce) durante la raccolta
delle olive o le vendemmie. La preparazione, come gli stessi
ingredienti, è molto semplice: si tagliano a piccoli pezzi delle
cipolle, delle zucchine e dei pomodori freschi maturi, a cui si
aggiunge del casu ‘e vita (formaggio salato) o del pecorino, olio
d’oliva o lardo di maiale ed infine del sale, stando attenti a non
esagera se si è utilizzato il formaggio salto. A questi ingredienti
si aggiunge della farina, e si impasta con le mani finche i liquidi
prodotti dal taglio delle verdure non vengono completamente
assorbiti. La cottura come per sa coccoi prena può avvenire nel
tradizionale forno a legna o più semplicemente in quello domestico.
Quando s’anguli ‘e
cibudda viene cotta nel forno a legna è tradizione spalmare
l’impasto su delle foglie di cavolo o di castagne per evitare che si
sporchi con la cenere. La cottura può variare dai 20-30 minuti
asseconda della temperatura del forno.
La carne
Tra i secondi
piatti troviamo gli arrosti che hanno reso famosa la cucina
ogliastrina. L’arrosto è una tradizione e le carni cotte allo spiedo
davanti ad fuoco scoppiettante non mancano mai sulle tavole delle
nostre genti. Le carni degli animali, che pascolano allo stato brado
lungo le pendici del Gennargentu o sugli altopiani che si affacciano
al mare rappresentano una garanzia di qualità unica e rara. I più
apprezzati sono senza dubbio quelli di animali da latte (maialetto,
agnello, capretto), quelli di pecora e quelli di manzo. La fragranza
delle carni, viene accompagnata con gli aromi intensi della macchia
mediterranea (mirto) o delle erbe di montagna (timo e rosmarino).
Nella tradizione gli arrosti di animali da latte accompagno le
festività natalizie, pasquali ed estive (Ferragosto), mentre la
carne di pecora ricorre spesso nella quotidianità, sia per il suo
basso costo che per la sua facile reperibilità durante tutto l’anno.
Le carni cotte allo spiedo solitamente non necessitano di
particolari accorgimenti tranne della salatura, che deve essere
fatta a metà cottura. Il sapore delle carni può essere arricchito
colando, su di esse, con uno spedino del lardo di maiale fuso. I
tempi di cottura dipendono principalmente, oltre che dalla
temperatura del fuoco, dal tipo di carne. Agnello, capretto e pecora
necessitano di circa un’ora e mezzo di cottura, mentre per il
maialetto sono necessarie almeno due ore; il manzo viene consumato
solitamente al sangue, e necessita di circa quarantacinque minuti di
cottura. Le carni di agnello e capretto possono essere cucinate
anche in tegame con piselli o patate, mentre la carne di pecora è
ottima con patate e cipolle (pecora in cappotto).
Non possiamo dimenticare i secondi preparati con le interiora
dell’agnello, del capretto e della pecora, tra cui troviamo sa corda
(treccia), che prende il suo nome dal particolare intreccio
realizzato con gli intestini e che ricordano le maglie di una
treccia, e sa trattalia. Sa corda si prepara con la pancia della
pecora (tagliata a strisce sottili) e con gli intestini più grassi,
mentre sa trattalia si prepara direttamente sullo spiedo alternando
a pezzi di cuore, fegato e polmone del pane e del lardo, il tutto
avvolto senza particolari tecniche con gli intestini dell’animale.
Queste due specialità possono essere cotte arrosto o in tegame.
Le montagne e le campagne ogliastrine sono inoltre ricche di
selvaggina, cinghiali, lepri, pernici, quaglie e is pillonis de
taccula, ossia le grive. Le pernici e le quaglie possono essere
cucinate in tegame e aromatizzate con il mirto o preparate alla
cacciatora con olive nere, del pomodoro secco o fresco, peperoncino,
rosmarino, da cui si otterrà un sughetto piccante dal sapore
leggermente amarognolo. Is pillonis de taccula arrivano in Ogliastra
in autunno e durante la stagione fredda si nutrono di bacche di
mirto, corbezzolo, ginepro e lentisco. Is pillonis de taccula
vengono preparati sia bolliti che arrosto allo spiedo, quando
vengono cotti arrosto vengono spesso insaporiti con del lardo di
maiale fuso, dopo la cottura le grive vengono disposte su dei rami
di mirto. Le lepri vengono preparate alla cacciatora o anche
arrosto, anche se di frequente vengono utilizzate come base per la
preparazione di sughi che si sposano con is maccarones de ungras
(tipico primo ogliastrino). La carne di cinghiale è un piatto che si
trova sempre nei ristoranti e negli agriturismi d’Ogliastra. In
passato veniva spesso cucinato all’interno di buche scavate nel
terreno, queste venivano precedentemente scaldate e rivestite di
foglie odorose, una volta ricoperta la carne con foglie e terra, si
accendeva una piccola catasta di legna, ottenendo così una cottura
lenta e un aromatizzazione intensa delle carni. In alcuni paesi
ogliastrini ricorre ancora a questa antica tecnica di cottura
soprattutto durante le feste e le sagre. Il cinghiale viene cucinato
alla cacciatora, arrosto e si presta come base per condire i primi,
inoltre come dal maiale si possono ricavare prosciutti e guanciali
molto prelibati.
I dolci
I dolci tipici, realizzati da abili pasticceri, uniscono alla
dolcezza dei loro prodotti la genuinità e gli ingredienti di
ricette antiche: pabassinas e ammarettos (dolci di mandorle,
uva sultanina e vino cotto) , gattou (dolce croccante di mandorle e
zucchero caramellato), pardulas (con formaggio fresco aromatizzate
con scorza di arancio o limone), pistoccus (biscotti).
Pardulas, dette anche
formaggelle sono tra i dolci tipici della tradizione ogliastrina,
ripropongono sapori unici nella loro semplicità, accompagnano
ricorrenze e feste. Si preparano con ingredienti semplici: formaggio
fresco, uova, limone, arancia, semola fine, zucchero e strutto.
Nella tradizione is pardulas vengono associate alla Pasqua, il
motivo non è noto. Certo è, che sono legate alla tradizione
pastorale, il formaggio infatti veniva preparato dai pastori proprio
nei mesi in cui ricorre la Pasqua e nella preparazione di questi
dolci è indispensabile impiegare formaggio fresco di appena un
giorno, non salato (chiamato casu e matula). Vi proponiamo di
seguito la nostra ricetta: unite al formaggio finemente grattugiato,
la scorza del limone e dell’arancia, lo zucchero, le uova, e un po’
di semola. Impastate bene fino ad ottenere un composto perfettamente
amalgamato. Separatamente, lavorate la semola con lo strutto,
aggiungendo una quantità utile di acqua leggermente salata. Stendete
l’impasto cosi ottenuto formando una sfoglia sottile da cui si
ricavano con uno stampo da 10 cm circa di diametro, i dischetti che
andranno a contenere nelle giuste dosi, il composto precedentemente
preparato. Formerete dei cestini dalla caratteristica chiusura,
effettuata rigorosamente a mano nei dischetti di sfoglia,
“pizzicati”, nelle estremità del cerchio con il pollice e l’indice
fino a formare un disegno che ricordi un sole raggiante. Disponete
questi piccoli soli in una teglia precedentemente infarinata e
mettete in forno fino a quando is pardulas sono ben dorate.
Su pani e congiu
Questo dolce dalle nostre parti viene preparato in occasione di
matrimoni. E’ un pane scuro per la presenza della sapa (sa saba). La
sapa anticamente, veniva preparata sempre durante la vendemmia. Si
faceva bollire a fuoco lento del mosto non ancora fermentato
schiumando ogni tanto, fino a che si riduceva di un terzo o della
metà. Per essere buona doveva essere molto densa. Veniva poi
aromatizzata con i semi di finocchietto selvatico e lasciata
raffreddare prima di essere conservata. Per la preparazione de su
pani e congiu si deve ottenere un impasto simile a quello del pane
unendo insieme la farina, il lievito, la sapa ,il miele e i vari
aromi, semi di finocchietto selvatico, noce moscata e saporita (una
droga confezionata con varie spezie). Alcune ricette aggiungono
chiodi di garofano e la profumatissima buccia d’arancia ben
essiccata e finemente macinata.
Pabassinas
Vengono preparate in tutta la Sardegna in tante varianti di gusto e
di forma, a seconda della località. La parola “pabassa” in sardo
significa “uvetta”, l'ingrediente fondamentale delle pabassinas . Si
tratta comunque di dolci buonissimi dalla pasta friabile ripiena di
uvetta, mandorle e noci e rivestiti di confettini multicolore.
Possono avere forma di cono o di losanga, si preparano in occasione
della festa dei morti a Novembre, a Natale e a Pasqua. Riportiamo di
seguito la ricetta ogliastrina: farina, miele, mandorle tagliate a
pezzetti, uvetta, noci tagliuzzate si impastano con la sapa fino a
ottenere un composto omogeneo. Infine si lavorano a forma di cono
piccole quantità di prodotto e si mettono nel forno a legna. Appena
sono cotte is pabassinas vengono bagnate con la sapa e ricoperte di
confettini multicolore.
Il formaggio
In Ogliastra sono
numerosi i caseifici che utilizzano le moderne tecniche di
caseificazione. Sono altrettanto numerosi i pastori che preparano il
formaggio negli ovili, rispettando le antiche tecniche tradizionali.
Il Pecorino
è il formaggio sardo più famoso e diffuso a livello nazionale ed
internazionale. I riconoscimenti per questo prodotto non si sono
fatti attendere, infatti il 4 novembre 1991 ottiene il
riconoscimento della Denominazione di Origine Tutelata, prima grande
consacrazione di questo formaggio.
Successivamente nel
luglio 1996, (con Reg. Cee n.1263/96) il pecorino sardo ottiene la
certificazione D.O.P., Denominazione di Origine Protetta. Tale
Denominazione viene assegnata dall'Unione Europea solo ai prodotti
tipici
più rappresentativi
le cui peculiarità sono strettamente ed indissolubilmente legate
all’ambiente geografico di provenienza e che proprio per tale
ragione sono unici ed inimitabili. In base alla disciplinare del
marchio DOP vengono distinte due tipologie di pecorino per
dimensione e caratteristiche organolettiche diverse: dolce e maturo.
Il pecorino dolce è caratterizzato da un periodo di maturazione che
si compie tra i 20 e 60 giorni. Ha una forma cilindrica a facce
piane con scalzo diritto o leggermente convesso. La crosta è liscia
e sottile, di colore bianco o paglierino tenue.
La pasta è bianca,
morbida, compatta e con rada occhiatura, dal sapore dolce-aromatico
o leggermente acidulo. Il pecorino maturo si caratterizza per una
stagionatura più lunga di almeno quattro mesi, che avviene in
appositi locali dove temperatura e umidità sono costantemente
controllate. Ha una forma cilindrica a facce piane con scalzo
diritto. La crosta è liscia, consistente, di colore bruno nelle
forme più stagionate; la pasta è bianca, tendente al paglierino con
il progredire della stagionatura, compatta o con rada occhiatura,
dal gusto forte e gradevolmente piccante (tratto dal Consorzio per
la Tutela del Formaggio Pecorino Sardo).
Casu Axedu
è un formaggio fresco dal sapore acidulo che viene prodotto durante
tutto l'anno con latte ovino o caprino. La preparazione del casu
axedu è semplice: durante i mesi invernali il latte viene scaldato
fino a raggiungere la temperatura di circa 35-37 gradi (in estate il
latte viene lavorato a temperatura ambiente), quindi viene aggiunto
il caglio (caglio di vitello commerciale o caglio di capretto o di
agnello in pasta) e un cucchiaio di siero conservato dalla cagliata
precedente. La coagulazione avviene in circa 10-15 minuti, mentre
per l’indurimento del coagulo sono necessarie 4-5 ore. Non appena in
su caddargiu (calderone di rame) affiora un filo di siero, la
cagliata viene tagliata in pezzi irregolari del peso di circa
150-300 grammi e lasciata riposare per circa 24 ore prima di essere
consumato. Ottimo per accompagnare freschi piatti estivi o
semplicemente spalmato su pistoccu.
Casu ‘e vita
è un formaggio salato che si ottiene dalla lavorazione del casu
axedu. Il formaggio fresco si lascia scolare dal siero per circa 24
ore su una tavola inclinata. In passato i pastori facevano asciugare
il formaggio in su cannissu, ossia su delle canne legate tra loro e
ricoperte di foglie di felce. Il formaggio si cosparge poi di sale
fino, dopo due giorni si gira, si sala dall'altra parte e si lascia
all'aria per alcuni giorni. Il casu 'e vitta si conserva per lungo
tempo in salamoia in un contenitore di terra cotta coperto con un
panno di cotone. Il casu 'e vitta viene impiegato come condimento
per le minestre tradizionali.
Casu marzu
Nell'edizione 2009 del libro dei "Guinness dei Primati" il casu
marzu è stato denominato come "il formaggio più pericoloso del
mondo". A difesa de casu marzu si sono schierati in tanti, tra cui
Antonio Farris docente di Microbiologia agro alimentare alla facoltà
di Veterinaria dell'Università di Sassari che sull'Unione Sarda
commenta cosi la vicenda: “Non capisco come si possa considerare
pericoloso il nostro formaggio marcio che, se fatto come si deve,
non ha mai fatto male a nessuno”. Ora il casu marzu è in lizza per
il marchio Dop (Denominazione di origine protetta). Dopo essere
stato sdoganato nel 2004 sulla Gazzetta ufficiale, che lo aveva
inserito tra i 4.006 prodotti agroalimentari tradizionali italiani
(154 Made in Sardegna), il formaggio marcio è ora in attesa del
riconoscimento della Comunità Europea. Il casu marzu in Ogliastra si
produce ancora secondo la tradizione. Il periodo migliore è
rappresentato dai mesi primaverili ed estivi. Le pezze di pecorino
vengono lasciate in locali aperti dove vengono attaccate (punte) dal
moscerino del formaggio (Piophila casei) che depone le sue uva. Dopo
la schiusa, le piccole larve trasformano con i loro enzimi la pasta
casearia, del pecorino, in una morbida crema. La maturazione dura da
tre a sei mesi. La pezza bucata viene spesso colmata di olio
d'oliva, in modo da ottenere una pasta più cremosa ed omogenea,
tanto da renderla spalmabile sul pane. Quando il formaggio è maturo
e le larve sono notevolmente diminuite di numero, la pezza viene
aperta togliendo la parte superiore (il cappello).
All'interno la
tipica crema dal colore giallastro e dal sapore molto particolare e
pungente è pronta per essere consumata, spalmata sul pistoccu ed
accompagnata da un ottimo bicchiere di cannonau.
Caglio
si ottiene dall'ultima delle quattro cavità di cui è composto lo
stomaco dei ruminanti, l'abomaso. Su caxu è un formaggio che ha
origine nell’abomaso dei capretti lattanti che hanno al massimo 35
giorni di vita. E’ di fondamentale importanza che l’animale sia
stato nutrito solo con il latte materno perché su caxu del capretto
che va al pascolo ha una composizione enzimatica completamente
diversa e assumere una colorazione non consona al prodotto. Prima
della macellazione, il capretto deve fare una lunga poppata in modo
da riempire il più possibile l'abomaso di latte. In fase di
macellazione l’abomaso viene separato dall'intestino e legato alle
due estremità.
Quando non contiene
abbastanza latte, i pastori ne aggiungono di appena munto. Alcuni
cospargono con sale fino l'esterno dell'abomaso, per renderne la
membrana più resistente. L’abomaso viene messo ad asciugare in un
luogo fresco e ventilato. Durante il periodo di asciugatura, si
verifica un lento processo di coagulazione e disidratazione, per
azione degli enzimi e dell'aria, che consente di ottenere un
prodotto cremoso e dal gusto piccante. Il periodo migliore per la
produzione del caxu è dicembre-gennaio, sia per quanto riguarda la
temperatura sia per quanto riguarda la qualità del latte.
Il pane
La preparazione del pane in Ogliastra come in tutta la Sardegna è
antica tradizione, legata alle fasi principali della vita familiare
e comunitaria, a feste, riti e ricorrenze. Il pane è simbolo di
sacralità, spesso presente negli offertori durante le cerimonie
religiose come i matrimoni. Anche la preparazione conserva ancora i
suoi riti, come quello di fare il segno della croce sulla pasta
destinata a diventare lievito e sul pane prima di essere infornato.
Il pane assume molteplici forme che spesso ricordano i contorni
frastagliati delle coste sarde. Alla varietà di forme si unisce
anche una varietà di farine impiegate: di grano, di orzo, di altri
cereali e anche di farina di ghiande nella Barbagia e in parte dell`Ogliastra.
La panificazione era un'attività prettamente femminile, mentre agli
uomini spettava il compito di costruire i forni e di procurare gli
attrezzi necessari alla panificazione. Il culto del pane che per
decenni ha rappresentato una delle tradizioni più radicate e uno
strumento di aggregazione sociale sta lentamente perdendo la sua
identità. Rimangono comunque tante le famiglie ogliastrine che
ancora oggi si riuniscono attorno ai forni che inebriano col profumo
del pane le vie del paese.
Pistoccu E' il pane
caratteristico dell' Ogliastra. Le sfoglie di pasta sapientemente
lavorate assumono forme diverse, rettangolari o circolari e anche un
diverso spessore a seconda dei paesi. Il pistoccu è un pane adatto
alla lunga conservazione, fatto di semola e di fior di farina, un
tempo costituiva il pane sia delle famiglie benestanti, nelle
varianti a base di cruschello o di farina d'orzo era il pane che i
pastori consumavano durante le settimane di transumanza, ma era
anche il pane della servitù e dei meno abbienti. La ricetta è
semplice, farina, acqua, lievito, sale e molto spesso patate
bollite. Per 25 kg di farina occorrono 5 kg di patate, 800 grammi di
sale e mezzo kg di lievito naturale chiamato in sardo “su framentu”.
L’impasto viene lasciato lievitare per un paio d’ore con il calore
del forno. Dopo la lievitazione i pani vengono stesi col mattarello
e ridotti in sfoglie della forma desiderata. A questo punto il
pistoccu è pronto per essere infornato. Dopo aver saggiato la
temperatura del forno i fogli di pasta vengono inseriti uno alla
volta nel forno, quando i fogli si gonfiano sono pronti per essere
sfornati. Dopo averli lasciati raffreddare i fogli di pistoccu sono
pronti per essere consumati, generalmente questo non avviene perché
il pistoccu è destinato ad una lunga conservazione. I fogli
raffreddati vengono divisi in due parti con un coltello ed infornati
per la seconda volta per assumere il caratteristico aspetto.
Modditzosu è un pane di
grande morbidezza, di forma circolare od ovale, di spessore
variabile ed irregolare. La morbidezza è tale che lo si può piegare
nel modo desiderato. Viene preparato con la semola di grano duro,
ricotta fresca o patate bollite che danno al pane un sapore
dolciastro e un peso maggiore. Solitamente il modditzòsu come anche
su pani e trigu viene preparato quando si accende il forno per
preparare il pistoccu, come si può ben capire l’attività di
panificazione impegna a seconda del nucleo familiare, l’intera
giornata di 4-5 donne.
Si trattava di un pane che quasi sempre veniva consumato in casa,
perché non veniva apprezzato al punto tale da offrirlo in dono o
metterlo in commercio. Inoltre, essendo facilmente deteriorabile,
doveva essere consumato entro pochi giorni. Il modditzòsu oggi si
trova sulla tavola di tutte quelle famiglie che dell’arte del pane
hanno fatto una tradizione e chi lo mangia solo in rare occasioni lo
vorrebbe trovare tutti i giorni sulla propria tavola.
Pane di ghiande Il
pane di ghiande, così come ci tramanda la tradizione popolare, ha
rappresentato per la popolazione baunese uno dei nutrimenti
principali, al quale studi alimentari hanno riconosciuto un alto
valore nutritivo e una notevole azione rinfrescante.
Gli ingredienti erano semplicemente dati dalle ghiande ( in genere
il cosiddetto "lande 'e pena"}, argilla, acqua e da ceneri di
vitigni.
La preparazione, come gli anziani del paese ricordano, richiedeva
all'incirca dalle cinque alle sei ore e seguiva una sequenza di fasi
dettagliate, inizialmente precedute da un rituale a sfondo
religioso. Le ghiande, precedentemente sgusciate e fatte asciugare,
venivano versate in un sacco di pelo di capra (60x40 cm), detto "sa
taxedda de pistadorgiu", e sbattute su pietra, sino a quando non si
otteneva la perfetta pulitura del frutto. Una volta pulite, si
versavano in un tegame di rame, "caddargiu". A parte, in un
contenitore di terracotta, 's'impastera', si versava dell'argilla
('torco'), e con un mestolo di legno si girava l'impasto per
scioglierne gli eventuali grumi, aggiungendovi pian piano acqua
fredda. Circa tre quinti del liquido ottenuto venivano spostati nel
paiolo contenente le ghiande. Quest'ultimo era adagiato sul fuoco,
dando così inizio alla cottura, durante la quale il colore delle
ghiande da rosso-marrone diventava nero. Per facilitare la cottura
si aggiungevano ceneri di vitigni. A cottura ultimata le ghiande
rimaste intere venivano sistemate in vassoi a raffreddare, mentre il
resto dell'impasto veniva lasciato ulteriormente cuocere sino a
ottenere un composto denso, simile alla polenta, suddiviso poi in
piccole focacce adagiate a raffreddare su fogli di sughero. Ciò che
si otteneva erano alla fine due prodotti diversi, ma altrettanto
nutrienti: da una parte il 'lande', che costituiva il prodotto
robusto e nutriente destinato agli uomini per il loro sostentamento
nei lavori pesanti; dall'altra la "fitta", che costituiva, invece,
il prodotto più delicato, in genere destinato agli ammalati e ai
bambini, poiché considerato quasi un dolce.
Il prosciutto
Il prosciutto, prodotto più o meno in tutta l'isola, può dirsi a
buon diritto una delle specialità tipiche dell'Ogliastra: i
prosciutti di Talana, di Villagrande, di Urzulei, sono giustamente
famosi presso i buongustai nostrani e devono la propria nomea alla
costanza di una produzione di altissimo pregio. Il prosciutto fatto
con carne di cinghiale o di maiale allevato allo stato brado, non ha
molto grasso; viene messo sotto sale marino e pressato per un po' di
tempo. L'aria asciutta dei monti e, più in generale, le condizioni
climatiche favorevoli contribuiscono senz'altro a creare condizioni
ideali per una buona stagionatura, ma la qualità del prodotto, per
lo più derivato da una lavorazione artigianale, è anche dovuta
all'allevamento dei maiali e alla loro alimentazione assolutamente
naturale. Nei paesi, fin dai tempi più remoti, il maiale veniva
allevato in casa fino a raggiungere un'età matura per poi essere
lavorato per fornire scorte alimentari per tutto l'anno. La
procedura tradizionale prevede che allla stagionatura della coscia
(o della spalla) dell'animale segua la salatura, la pressatura e
l'aromatizzazione con pepe, aglio e una scelta d'erbe che varia
nelle diverse località.
Il vino ed i liquori
Il vino prodotto in
questi territori, di cui il Cannonau è indubbiamente il più
noto, è conosciuto e commercializzato già nei tempi antichi (si fa
risalire la coltivazione della vite a circa mille anni fa): la sua
bontà e la sua fragranza lo rendono di grande prestigio e
tradizione. Il tipo di produzione e la sua lavorazione ne fanno uno
dei migliori vini prodotti in Italia. Di colore rosso rubino,
accompagna i piatti tipici di queste terre: arrosti, cacciagione e
formaggi stagionati ma anche, soprattutto nella versione più
liquorosa, dessert e dolci tipici sardi.
Ad oggi il Cannonau
ha un posto di meritato rilievo nel panorama enologico italiano e
rappresenta una "fonte" economica ricca di potenzialità di crescita
per tutto il territorio ogliastrino.
Il liquore di mirto
Si ottiene mediante infusione idroalcoolica a freddo
delle bacche (mirto rosso), o delle foglie (mirto bianco). Il mirto
bianco è prodotto in quantità inferiori rispetto al mirto rosso è
viene lavorato solamente a livello industriale, mentre il mirto
rosso viene preparato anche in casa da molti appassionati. La
preparazione del mirto in casa non richiede particolari abilità ne
attrezzature e chiunque si può cimentare nella sua preparazione.
Come tutti i prodotti caserecci, esistono numerose ricette e diverse
scuole di pensiero. |